Yen ai minimi: capiamo le dinamiche monetarie
Data pubblicazione: 16 luglio 2024
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IN BREVE
- Lo yen è sui minimi dal 1986 contro il dollaro USA e ai livelli più bassi di sempre contro l'euro.
- Anche dollaro USA, euro e le altre valute subiscono le decisioni delle proprie banche centrali.
- I cambi valutari permettono investimenti più consapevoli in ottica di diversificazione del rischio.
Il 15 luglio la borsa giapponese è chiusa per festività.
Nella giornata di giovedì 11 luglio lo Yen ha registrato il +3%, un rialzo di un’entità che non si vedeva dal 2022.
I parerei degli operatori, considerata la dinamica, il venerdì successivo:
i trader si dividono tra chi pensa si tratti di un forte trend rialzista spontaneo, quindi che non ci siano indizi che il movimento sia dovuto ad un intervento diretto, e chi immagina una combinazione di intervento giapponese e dinamica di mercato.
Nella giornata di venerdì:
guardando i dati sulle operazioni giornaliere della BOJ si calcola che Tokyo potrebbe aver speso fino a 3 trilioni e mezzo di yen (pari a circa 22 miliardi di dollari) intervenendo sul mercato valutario a sostegno dello yen, ma le autorità giapponesi non si pronunciano direttamente sul presunto intervento.
Gli ultimi interventi di Tokyo erano stati a fine aprile e a inizio maggio. Si suppone che il Giappone con questi interventi prenda tempo in attesa di un calo dei tassi d’interesse negli USA che porterebbe maggior equilibrio nel cambio dollaro/yen.
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Le insistenti vendite di yen giapponesi nei mercati finanziari hanno portato la valuta giapponese ai minimi dal 1986 contro il dollaro USA e ai livelli più bassi di sempre contro l'euro. Il tasso di cambio EUR/JPY è prossimo al livello 172, mentre quello USD/JPY si sta consolidando sopra il livello 160.
Il trend al ribasso dello yen è la diretta conseguenza della politica monetaria della banca centrale nipponica (BOJ), sostanzialmente incline all’allentamento monetario, ossia politiche espansive che prevedono iniezioni di liquidità nel sistema. Un atteggiamento in netta controtendenza rispetto a quello adottato dalle principali banche centrali occidentali, impegnate a contrastare le spinte inflazionistiche con un’energica politica monetaria restrittiva.
I consistenti rialzi dei tassi della Fed hanno sostenuto il dollaro
Per esempio, negli ultimi due anni - per l’esattezza dal 16 marzo 2022 al 26 luglio 2023 - la Federal Reserve statunitense ha adottato aumenti dei tassi che hanno portato i Fed Funds dallo 0,25% al 5,50% mentre la BOJ si è limitata a fissare, come obiettivo, all’1% il rendimento del titolo di stato decennale nipponico. Una situazione che ha reso estremamente attraenti i titoli in dollari USA (grazie al loro più alto rendimento) rispetto a quelli giapponesi, molto meno appetibili. I mercati, che registrano e anticipano puntualmente queste dinamiche, hanno favorito la valuta statunitense a discapito di quella del Sol Levante: dal 16 marzo 2022 ad oggi il tasso di cambio ha visto indebolirsi lo yen del 26,3% rispetto al dollaro USA.
Il rafforzamento dell’euro sullo yen
Il cross dollaro/yen ricorda molto da vicino la dinamica osservata tra l’euro e lo yen. Tra il 27 luglio 2022 e il 12 giugno 2024 la BCE ha aumentato i tassi dallo zero al 4,25% (al netto del taglio di 25 punti base dell’ultima riunione del 6 giugno scorso). Nello stesso arco di tempo il valore sui mercati dello yen si è indebolito del 19,7% rispetto all’euro.
Due opzioni a disposizione per frenare la caduta dello yen
Certo una valuta debole aiuta le esportazioni e questo ha sicuramente agevolato le industrie del Sol Levante che, oltre a comparti di eccellenza nella meccanica di precisione, nell’elettronica di consumo, nella robotica, nella chimica, nella metallurgia e nell’automotive, ha beneficiato in questi ultimi due anni di uno yen ai minimi storici. Tuttavia, le importazioni, a cominciare dalle materie prime (in particolare il petrolio) di cui Tokyo è fortemente dipendente dall’estero, presentano un saldo negativo non indifferente.
A questo punto il Giappone ha sostanzialmente due opzioni a disposizione per frenare la caduta dello yen, se davvero lo volesse. La prima consiste nell’agire sui tassi di interesse, oppure nel ridurre i massicci acquisti di obbligazioni finalizzati a limitare all’1% il rendimento dei titoli a 10 anni. Secondo gli esperti di Oxford Economics, “dopo un forte calo delle partecipazioni in titoli del Tesoro statunitensi da parte del Giappone, le banche commerciali nipponiche hanno ripristinato i loro portafogli di obbligazioni estere, anche statunitensi, nel 2023”. Se la BOJ adottasse questi provvedimenti la dinamica a favore dei titoli di stato USA a discapito di quelli in yen potrebbe essere almeno in parte frenata e sosterrebbe la valuta nipponica.
Se Tokyo vende una parte delle riserve in dollariLa seconda opzione sarebbe la vendita sul mercato di parte delle immense riserve di titoli di stato USA accumulati negli anni. Un’operazione che farebbe scendere il valore del dollaro statunitense a favore, probabilmente, anche dello yen giapponese. Una scelta quest’ultima, che determinerebbe peraltro un inevitabile contraccolpo sui governativi di tutti i paesi occidentali: una vendita consistente di Treasury USA porterebbe ad un ribasso dei loro prezzi e ad un rialzo dei rendimenti che, quasi certamente, farebbe alzare anche quelli dei titoli in euro, sterline e altre valute.
Le scelte di Fed e BCE guidano il cambio USD/EURLe scelte di politica monetaria non riguardano infatti soltanto lo yen. Negli ultimi due anni, a fronte di tensioni inflazionistiche che non si registravano da decenni sia negli Stati Uniti che in Europa, le decisioni della Federal Reserve e della BCE hanno influito sul cambio USD/EUR. Il fatto che la Fed si sia mossa in ampio anticipo con il rialzo dei tassi (16 marzo 2022) rispetto al primo intervento della BCE (27 luglio 2022) e lo abbia fatto con maggiore profondità di intervento (tassi in rialzo fino al 5,50% contro il 4,50% massimo della BCE) ha rafforzato il dollaro rispetto all’euro.
La frenata del franco svizzero dopo il taglio dei tassi della SNB
Anche il franco svizzero non sfugge alle dinamiche della propria banca centrale (SNB). Il 21 marzo di quest’anno le autorità monetarie elvetiche hanno sorpreso tutti gli addetti ai lavori tagliando i tassi dello 0,25%, dall’1,75% all’1,50%. Una decisione che ha contribuito a deprezzare il valore del franco svizzero del 2,79% rispetto all’euro fino a giugno 2024 quando anche la BCE ha tagliato i tassi dello 0,25% facendo recuperare alla divisa elvetica tutte le perdite accumulate in precedenza.
Seguire e analizzare le decisioni di politica monetaria delle diverse banche centrali può essere proficuo per gli investitori. Aiuta a comprendere gli impatti che queste potranno esercitare sui cambi valutari e, di conseguenza, consente di assumere decisioni di investimento più consapevoli in ottica di diversificazione del rischio.
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