Numeri alla mano, perché il “Fai da te” sottoperforma
Data pubblicazione: 22 dicembre 2023
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IN BREVE
- Confrontando il rendimento ottenuto da un investitore “fai da te” con quello dei principali indici (azionari e obbligazionari) il risultato è impietoso.
- Negli ultimi anni presi in considerazione, i rendimenti degli investitori “solitari” sono molto inferiori.
- I motivi sono principalmente due: eccesso di fiducia in sé stessi e paure irrazionali. Per questo è meglio affidarsi ad esperti degli investimenti.
Investitore fai-da-te? Ahiahiahi… Parafrasando un famoso claim pubblicitario di una agenzia di viaggi, questo è quello che viene da dire a chi pensa di guadagnare soldi investendo in strumenti finanziari improvvisando, senza competenza specifica e senza alcun aiuto.
Magari chiuso in una stanzetta buia con gli occhi fissati sull’andamento di titoli e indici. Immagine un po’ bohemien ma risultati scarsi. Molto scarsi. E adesso vediamo i numeri, che si riferiscono al mercato americano, nel quale i risparmiatori sono mediamente più esperti di quelli europei e per questo sono ancora più stupefacenti.
Quanto perde l’investitore fai-da-te
La società di analisi finanziaria americana Dalbar Inc. e la banca d’affari JP Morgan hanno calcolato che nei 20 anni tra il 2002 e il 2021 inclusi il risparmiatore che ha deciso di operare le proprie scelte in autonomia mediamente ha ottenuto sì un incremento del proprio patrimonio, ma questo è stato sensibilmente inferiore a quello dei principali indici, come per esempio lo S&P 500. L’investitore fai-da-te, in questo lasso di tempo, ha realizzato un rendimento annualizzato medio del 3,6%: 100mila dollari investiti nel 2002 sono diventati, dopo 20 anni, 202.859. Non è male, anche perché la crescita annualizzata dell’inflazione nello stesso periodo è stata mediamente del 2,2%, il che significa che per avere lo stesso potere di acquisto i 100 mila dollari del 2002 devono diventare 154mila. Vuol dire, insomma, che l’investitore “lupo solitario” ha over performato l’andamento dei prezzi. È però una magra consolazione considerando che anche solo distribuendo il proprio denaro tra tutti i titoli esistenti, di ogni tipologia, senza fare particolari scelte, avrebbe ottenuto di più, anche molto di più. Per esempio: se avesse optato per le obbligazioni, in base ai numeri del Bloomberg US Aggregate Bond Index, avrebbe raggiunto 232.100 dollari, cioè 29.200 più di quelli che l’investitore fai da te ha invece accumulato.
Il confronto con il rendimento degli indici azionari
Altro esempio: prendiamo la performance di un portafoglio bilanciato 60/40, ovvero che per il 60% riproduce l’andamento dell’indice S&P 500 e per il 40% quello del Bloomberg US Aggregate Index, composto da titoli a rendimento fisso. Pure in questo caso il “lupo solitario” è perdente, perché 100mila dollari investiti in tale portafoglio nel 2002 avrebbero fruttato 417mila euro, per un rendimento annualizzato del 7,4%, mentre uno composto dagli stessi elementi, ma distribuzione inversa, 40/60, ne avrebbe avuto uno del 6,4%.
Se tutto il patrimonio, invece, fosse stato investito nelle azioni dello S&P 500 il guadagno sarebbe stato ancora maggiore, visto che i 100mila dollari iniziali sarebbero diventati 614.200. Il gap tra il rendimento di questa scelta, 9,4% all’anno, e quello goduto dall’investitore medio, 3,6%, è ancora più ampio.
Gli stessi risultati si ottengono anche se si guarda a un orizzonte trentennale: tra inizio 1993 e fine 2022, secondo i dati di Dalbar Inc., il rendimento medio annualizzato dell’indice S&P 500 è stato del 9,65%, e ha battuto a mani basse quello degli investitori fai-da-te, anche prendendo in considerazione solo coloro che hanno scelto le azioni i quali hanno ottenuto un rendimento medio annualizzato del 6,81%. In termini assoluti significa che hanno guadagnato meno della metà del denaro che avrebbero guadagnato se si fossero semplicemente affidati allo S&P 500, ovvero i 100mila dollari investiti inizialmente sono diventati 721.701 invece che un milione e 586 mila dollari.
Le ragioni del flop
Vi sono motivi psicologici ed economici alla base di questa défaillance. Tra i primi troviamo emozioni contrastanti, ovvero:
- L’eccessiva fiducia in sé stessi: si sopravvalutano le proprie competenze e la capacità di analisi degli scenari economici e di previsione delle tendenze future e si crede di avere il pieno controllo dell’andamento dei propri investimenti
- La paura spesso irrazionale: porta ritenere i cali di alcuni titoli come irrecuperabili e si disinveste in perdita, anche se in un’ottica di lungo periodo vi sarebbe stata una ripresa delle quotazioni
Ma c’è una spiegazione in più: l’impresa dell’investitore fai da te è resa ardua da un fatto oggettivo e cioè che il mondo degli investimenti, specie azionari, non è democratico. Normalmente parliamo di indici, che quindi aggregano centinaia o migliaia di titoli, ma se osserviamo la distribuzione del successo di ciascuna azione in essi contenuta vediamo enormi disuguaglianze.
Economisti della W.P. Carey School of Business, della Tulane University - A.B. Freeman School of Business e del Politecnico di Hong Kong, hanno calcolato che in quasi 30 anni, tra il 1990 e il 2018, il mercato azionario globale ha generato 44.700 miliardi di dollari di valore, ma a essere responsabile della creazione di tale ricchezza è solo l’1,3% dei titoli. Se poi prendiamo in considerazione solo azioni non americane si scende sotto l’1%. Nel rimanente 98,7% dei titoli, l’andamento di quelli che hanno avuto un guadagno semplicemente compensa quello delle imprese che invece ne hanno avuto uno in perdita.
Non solo, la percentuale delle azioni che hanno avuto un rendimento maggiore dei semplici titoli del Tesoro americano annuali (equivalente ai nostri Bot a 12 mesi) è solo del 39,1%, includendo qui anche quell’1,3% di aziende ultra-performanti. Anche in questo caso spostandoci fuori dagli Usa tale proporzione cala ulteriormente, al 37,5%.
Affidarsi ad esperti è ancora più indispensabile di quanto si pensa
Vuol dire anche che, per quanto si possa pensare controintuitivo, il titolo azionario medio di un indice -come il S&P 500 - performa peggio dell’indice stesso.
Ciò significa che di fronte queste enormi disuguaglianze l’investitore fai da te rischia di sbagliare molto più spesso di quel che istintivamente pensa. Scegliendo un’azione a caso o anche in base alle proprie presunte competenze quasi sicuramente o perderà o avrà rendimenti inferiori a quelli dei principali indici, come si è visto.
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