Aumentano i fondi pensione tra i giovani
Data pubblicazione: 15 luglio 2024
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IN BREVE
- Secondo i dati COVIP, le adesioni alla previdenza complementare salgono anche tra i giovani.
- Merito di mamma e papà, che sempre più spesso “regalano” un fondo pensione al pargolo.
- Giovani, donne e lavoratori autonomi, però, possono (e devono) fare di più.
Forse – e diciamo molto cautamente “forse” – gli italiani iniziano a capirlo. Secondo la relazione annuale sull’attività svolta nel 2023 presentata di recente dalla COVIP (la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione)1, a fine anno il totale degli iscritti alla previdenza complementare era pari a 9,6 milioni, in crescita del +3,7% rispetto all’anno precedente. Più di un terzo della forza lavoro (il 36,9%). E va bene che sono cresciuti gli iscritti ai fondi negoziali (3,9 milioni, +5,4% rispetto al 2022), con la metà delle nuove adesioni riconducibile al meccanismo dell’adesione contrattuale e con le iscrizioni nel settore del pubblico impiego attraverso il meccanismo del silenzio-assenso per i lavoratori di nuova assunzione, ma sono aumentati anche gli iscritti ai fondi aperti (1,9 milioni, +5,9%) e ai PIP (3,9 milioni quelli, +1,7%), sintomo di una scelta cosciente.
Un segnale incoraggiante, probabilmente spia di una crescente consapevolezza sulle possibilità sempre più limitate della previdenza pubblica (le spese sono tante) e sulla necessità, oggi più che mai, di iniziare a investire da subito, senza perder tempo, per il futuro che verrà dopo l’età lavorativa. Il rapporto AIPB-KPMG ce lo ha ricordato di recente: gli over 65 sono sempre di più e vivono più a lungo, mentre le nuove nascite latitano2. Chi ci pagherà la pensione in futuro? Facile (e inevitabile): noi stessi, cominciando a investire da adesso per quel futuro che, al di là delle battute e delle apparenze, non è poi così lontano come sembra.
Persino i giovani sembrano averlo capito. O meglio: lo hanno capito i loro genitori
Gli iscritti, ancora oggi, sono soprattutto uomini in età matura: persiste infatti un “gap generazionale”, con il 47,8% degli iscritti tra i 35 e i 54 anni e il 32,9% che ne ha almeno 55. Tuttavia, anche qui si vede una luce in fondo al tunnel: negli ultimi anni, il peso della componente più giovane (fino a 34 anni) è cresciuto, passando dal 17,6% del 2019 al 19,3% del 2023.
Merito di una maggiore consapevolezza? Sì, ma soprattutto tra i “senior”. Fra le nuove adesioni, infatti, sale la quota di soggetti fiscalmente a carico, perché le famiglie decidono di aprire una posizione previdenziale per i figli. In futuro, dicono, quando il ragazzo o la ragazza inizierà a lavorare, farà da sé, provvedendo ad alimentare quella posizione con versamenti autonomi.
E proprio l’ingresso nel mercato del lavoro è un passaggio decisivo. Prova ne sono i numeri della partecipazione alla previdenza complementare, che ancora oggi tendono a penalizzare le donne e, appunto, i più giovani.
Un altro aspetto interessante riguarda la partecipazione rispetto all’occupazione: sulla spinta dei fondi negoziali, i lavoratori dipendenti aderiscono a forme di previdenza complementare più degli autonomi, e la forbice si allarga se si considerano i soli iscritti per i quali risultano effettuati versamenti.
Donne, giovani e autonomi tra i più bisognosi di previdenza complementare
Ma sono proprio i meno coperti che più avrebbero bisogno di previdenza complementare. E le possibilità di costruirsi una futura rendita pensionistica non mancano, per fortuna. Se la previdenza pubblica è il primo pilastro e i fondi pensione cosiddetti “chiusi” rappresentano il secondo, fondi pensione aperti e PIP (Piani Individuali Pensionistici) costituiscono il cosiddetto “terzo pilastro”. A differenza dei fondi pensione chiusi, sono destinati alla totalità dei lavoratori, dipendenti o autonomi, di qualunque azienda o categoria professionale. Ma niente vieta a chi ancora non lavora di aprirsi una posizione pensionistica attraverso un fondo pensione aperto, distribuito da banche e altri intermediari, o tramite un PIP collocato dalle compagnie assicurative.
Tra l’altro la previdenza complementare riserva tutta una serie di benefici fiscali, nell’ottica di stimolare le adesioni. Tra questi, la deducibilità dei contributi versati fino a un massimo di 5.164,57 euro all’anno, l’imposta annua sostitutiva dell’IRPEF con un’aliquota del 20%, a fronte del 26% che si applica alla maggior parte delle forme di risparmio finanziario, e la ritenuta a titolo di imposta al momento dell’erogazione della prestazione pari al 15%, che può ridursi in funzione dell’anzianità di partecipazione al sistema della previdenza complementare.
I rendimenti della previdenza complementare: aderire è realmente conveniente?Restiamo sui numeri. Nel 2023, la dinamica positiva dei mercati finanziari si è riflessa sui rendimenti di tutte le tipologie di linee di investimento, consentendo di recuperare le perdite subìte l’anno prima: i risultati migliori si sono avuti nelle linee d’investimento con una maggiore esposizione verso i titoli di capitale. Sono stati infatti i comparti azionari a registrare le performance migliori, con rendimenti annui pari in media al 10,2% nei fondi negoziali, all’11,3% nei fondi aperti e all’11,5% nei PIP.
Sui dieci anni (da fine 2013 a fine 2023), i rendimenti medi annui composti delle linee a maggior contenuto azionario si attestano, per tutte le categorie di forme pensionistiche, tra il 4,2% e il 4,5%, superiori al rendimento medio delle linee obbligazionarie e anche al tasso di rivalutazione del TFR.
L’azionario batte la rivalutazione del TFR anche nell’ultimo ventennio
Il TFR è la somma della retribuzione lorda che l’azienda ti ha corrisposto per ogni anno di lavoro svolto finora divisa per 13,5. Al 31 dicembre di ogni anno tranne il primo, il TFR maturando viene ritoccato al rialzo sulla base di un tasso fisso pari all’1,5%, cui si aggiunge il 75% dell’incremento dell’inflazione rilevato per l’anno precedente.
Ebbene, non solo nell’ultimo anno ma nell’arco degli ultimi venti le soluzioni con componente in tutto o in parte azionaria sono riuscite a tenere testa non solo all’inflazione, ma anche alla rivalutazione. La lezione che possiamo trarne è che nell’orizzonte temporale dell’investimento previdenziale può aver senso una maggiore esposizione ai titoli azionari, tipicamente caratterizzati da rendimenti attesi più consistenti. Specialmente all’inizio, con un’eventuale progressiva riduzione di tale esposizione via via che si matura e ci si avvicina al momento del pensionamento.
Tale approccio si può realizzare in vari modi: con uno dei prodotti che abbiamo citato ma anche, per esempio, creando un portafoglio d’investimento che consenta di accantonare a cadenza regolare somme anche piccole con l’obiettivo di costruire la rendita che in futuro integrerà l’assegno pensionistico pubblico. L’essenziale è iniziare il prima possibile, facendo del tempo – come diciamo sempre – il tuo migliore alleato.
- https://www.covip.it/sites/default/files/notizie/relazione_per_lanno_2023.pdf
- https://www.fineconomy.it/scenari-e-mercati/65-anni-oggi-sono-40-di-ieri-che-piani-hai/
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